È noto che molti laboratori scientifici di ricerca sono impegnati in tutto il mondo a indagare la qualità della relazione tra la vitamina D e varie patologie; tra queste, la più importante è sicuramente quella che porta a una condizione di fragilità ossea. Infatti, tale vitamina è indispensabile per la crescita e il processo di rimodellamento e mineralizzazione di ossa e denti, agendo, inoltre, nella regolazione del metabolismo di calcio e fosforo, favorendone l’assorbimento intestinale.
Nel corso degli anni tali ricerche hanno anche evidenziato un rapporto di causa ed effetto tra una somministrazione supplementare di Vitamina D e un miglioramento della risposta immunitaria nei soggetti esaminati portatori d’infezione da virus Hiv; in particolare, tale supplementazione, sembrerebbe capace di ridurne la capacità di replicazione.
Quanto detto è emerso in un recente studio effettuato da un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università della Pennsylvania, Penn State, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
Prima di procedere nell’analisi dello studio appena citato, è bene ricordare cosa sappiamo di questa importante vitamina.
La vitamina D proviene per il 5% dalla dieta e per il 95% dalla pelle, dove è prodotta attraverso un processo di fotosintesi. Tale vitamina, liposolubile come la A, la E e la K, è prodotta dalla pelle che la sintetizza dal precursore 7-deidrocolesterolo grazie all’azione della luce solare. Per produrre la quantità di vitamina D necessaria al nostro organismo sono sufficienti quindici minuti al giorno di esposizione alla luce del sole.
Gli alimenti utili alla formazione della vitamina D sono l’aringa, lo sgombro, le sardine, l’olio di fegato di merluzzo, le uova, i formaggi grassi e il burro; ma bisogna tenere presente che il contributo di questi alimenti alla produzione di vitamina D nel nostro organismo è minimo.
Il discorso cambia se prendiamo invece in considerazione la questione dell’esposizione ai raggi solari. Infatti, se nei Paesi del mediterraneo, o in altri Paesi particolarmente soleggiati, la quantità di radiazioni ultraviolette assorbita attraverso la nostra pelle è normalmente sufficiente a soddisfare il fabbisogno di vitamina D, in Paesi dove le occasioni per esporsi al sole sono ridotte per condizioni climatiche o stile di vita, è necessaria spesso un’integrazione.
Lo studio dell’Università della Pennsylvania, citato all’inizio di questo articolo, ha preso in esame proprio la relazione tra queste condizioni e combinazioni. Quanto segue, è una sintesi di tale studio tratta da un articolo pubblicato nel sito web quotidianosanità.it
I soggetti esaminati appartengono a due gruppi etnici di Città del Capo, in Sudafrica. Situata nell’emisfero meridionale a poco più di trenta gradi di latitudine, tale città presenta una radiazione ultravioletta B con andamento stagionale ed è una delle città con il maggior tasso di infezioni da Hiv-1 al mondo, con la massima incidenza tra i giovani adulti, elementi che la rendono un appropriato sito per uno studio longitudinale come questo.
Lo studio ha coinvolto circa 100 partecipanti sani, appartenenti a due diverse etnie, di cui una presenta una pigmentazione più scura rispetto all’altra perché originaria di Città del Capo da più tempo, cioè composta da una popolazione i cui antenati migrarono dall’Equatore verso Sud per raggiungere Città del Capo e che si è adattata prima alla variazione della luce al cambiare delle stagioni. L’altro gruppo, invece, è il risultato di immigrazioni Europee, Sud-asiatiche e Indonesiane, e presenta una pigmentazione più chiara della pelle.
Per eseguire lo studio, i ricercatori hanno esposto al virus Hiv campioni di sangue dei partecipanti scelti.
Il prelievo è avvenuto durante l’estate e poi durante l’inverno, le stagioni in cui i soggetti mostravano livelli di vitamina D sufficienti oppure carenti. Entrambi i gruppi selezionati presentavano una mancanza di vitamina D nella stagione invernale e questo dato era più marcato nelle donne. In base ai risultati, dopo nove giorni i campioni di sangue prelevati in inverno presentavano livelli maggiori d’infezione da Hiv-1 rispetto a quelli prelevati in estate. Dato che la vitamina D ha un impatto sul sistema immunitario, i ricercatori hanno fornito per sei settimane una supplementazione con tale sostanza a trenta partecipanti, di cui circa il 77% ha raggiunto livelli ottimali di vitamina D. Tale integrazione, ha evidenziato, nei campioni di sangue esposti al virus, e poveri di tale sostanza, un incremento dei valori registrati in inverno, riportandoli a quelli misurati in estate.
L’integrazione con vitamina D a un dosaggio orale elevato ha ridotto la replicazione del virus HIV-1, ha aumentato la circolazione di globuli bianchi e annullato l’anemia tipica dell’inverno. In conclusione, la vitamina D offre un miglioramento a basso costo della risposta immunitaria associata al virus Hiv.
È bene ricordare però che un eventuale apporto supplementare di vitamina D deve essere prescritto e controllato dal proprio medico, evitando pericolosi approcci del tipo “fai da te“.
(Fonte: quotidianosanità.it – Sapere Salute.it)
Flavio Angiolini