I più recenti studi sulla PrEP

 

PrEPAlla conferenza sull’HIV CROI recentemente conclusasi a Seattle sono stati aggiornati i risultati degli studi PROUD e IPERGAY condotti in Europa sulla profilassi pre-esposizione o PrEP.
Lo studio PROUD condotto nel Regno Unito e presentato da Sheena McCormack ha coinvolto dei maschi gay. Altri maschi che fanno sesso con maschi che afferiscono alla rete di cliniche per le malattie sessuali del paese. Lo studio è stato disegnato per somigliare quanto più possibile alla vita reale: non erano previsti esami particolarmente sofisticati per assicurarsi che le persone fossero sieronegative all’inizio dello studio ma solo il normale test HIV, e lo stesso per accertare la salute dei reni (l’uso di tenofovir può essere sconsigliato per chi ha problemi renali).

I partecipanti sono stati randomizzati, cioè assegnati casualmente a due bracci di studio: nel primo è stato dato loro immediatamente la PrEP consistente in una pillola di questo farmaco da assumere una volta al giorno; per l’altro gruppo l’offerta della PrEP era rimandato di un anno.

Oltre 500 persone hanno partecipato allo studio. A ottobre dello scorso anno il gruppo incaricato di esaminare i dati di sicurezza ed eticità dello studio ha raccomandato di offrire la PrEP anche ai partecipanti assegnati al gruppo in cui l’offerta era rinviata; questo perché il numero di infezioni viste in questo gruppo era assai più alto rispetto a quelli che assumevano già la PrEP. Ci sono stati infatti tre infezioni nel gruppo che ha preso da subito la PrEP (una di queste probabilmente era già sieropositivo al momento dell’inizio dello studio o ha acquisito l’infezione prima che la PrEP potesse fare effetto perché ha avuto un test positivo pochi giorni dopo l’inizio dello studio) mentre nel gruppo che non assumeva ancora la PrEP ci sono state 19 infezioni.

Questo indica una incidenza – cioè una percentuali di nuove infezioni – tra i partecipanti del gruppo che aveva rinviato la PrEP estremamente alta, quasi del 10%. In generale, in questo studio la PrEP sembra ridurre il rischio di infezione dell’86%, un dato che – considerato che le condizioni di studio assomigliano molto alla vita reale – che McCormack considera molto alto. McCormack ha poi presentato anche i dati di sicurezza, cioè i problemi manifestati da chi assumeva la PrEP: 28 persone hanno interrotto l’assunzione del farmaco per problemi medici. Il numero di partner sessuali e i tassi di altre malattie a trasmissione sessuale erano simili nei due gruppi.

Ora sono in corso due studi per vederne il costo-efficacia di questa strategia, cioè se il costo del farmaco viene compensato dai costi sanitari. Nel secondo studio europeo sulla PrEP presentato alla conferenza CROI di Seattle si chiama IPERGAY ed è stato illustrato da Jean-Michel Molina.

Si tratta di uno studio randomizzato, doppio cieco, controllato da placebo: significa che i partecipanti venivano assegnati casualmente a due gruppi (randomizzazione), che né i partecipanti né i loro medici sapevano quale fosse), e che uno dei due gruppi prendeva un placebo cioè un farmaco che assomiglia in tutto e per tutto a quello vero ma che in realtà non contiene alcun principio attivo. Lo schema di somministrazione della PrEP era “on demand”: i partecipanti dovevano assumere due pasticche 24 prima di avere un rapporto sessuale, un’altra entro 24 dopo questo rapporto e un’altra ancora dopo altre 24 ore.

Questo permetteva di limitare l’assunzione del farmaco ai periodi in cui ce ne era davvero bisogno, cioè quelli di attività sessuale. Il numero mediano di partner sessuali era di otto negli ultimi due mesi tra i partecipanti (significa che metà dei partecipanti ne aveva più di otto, l’altra metà di meno, con un range tra 6 e 15). Non ci sono stati cambiamenti nel comportamento sessuale dei partecipanti nel corso dello studio, cioè le persone non hanno avuto più partner o usato meno il preservativo perché assumevano la PrEP.

In tutto 16 partecipanti hanno preso l’infezione da HIV: 14 erano nel gruppo che prendeva placebo, 2 in quello che prendeva la PrEP, ma questi due avevano smesso di prendere la PrEP per effetti collaterali da alcuni giorni al momento in cui hanno acquisito l’infezione. Non ci sono state differenze negli effetti collaterali tra i due gruppi (sì, anche il placebo può avere effetti collaterali). Una sola persona ha interrotto il trattamento per problemi dovuti al farmaco, probabilmente scatenati da una interazione con un altro farmaco che stava assumendo.

Anche per questo studio, lo scorso ottobre il gruppo etico ha raccomandato di chiudere il gruppo placebo e offrire a tutti i partecipanti la possibilità di prendere la PrEP. È bene ricordare che la PrEP non è ancora stata approvata in Europa e non è quindi disponibile e che due dei tre studi sono sponsorizzati dall’azienda che produce il Truvada!

Rosaria Iardino
Presidente onorario Nps Onlus

Fonte: Quotidianosanità

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Onu e droghe : l’ora della svolta

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drogheArticolo di Grazia Zuffa per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto dell’11 marzo 2015.

Nell’aprile 2016 si svolgerà a New York l’Assemblea Generale Onu sulle droghe (Ungass 2016), ma già questa settimana, alla riunione annuale della Commission on Narcotic Drugs (Cnd) cominceranno i preparativi.
Per comprendere il contesto in cui si svolgerà Ungass 2016, bisogna risalire alla precedente Ungass del 1998. L’Assemblea Generale del 1998 segnò il culmine della retorica della “lotta alla droga”: con lo slogan: a drug free world, we can do it   e con la Dichiarazione Politica finale che fissava come obiettivi la “eliminazione della coca, del papavero da oppio e della cannabis entro il 2008”.
La Dichiarazione Politica diede la spinta ad una nuova escalation della war on drugs: si vedano i famigerati Plan Colombia e Plan Dignidad del Cile, che hanno causato la militarizzazione dei territori e lo sfollamento forzato di migliaia e migliaia di contadini dai campi avvelenati dalle fumigazioni. Inoltre, dalla fine degli anni novanta al 2006, esplode l’incarcerazione per reati di droga in Usa, la gran parte per semplice possesso.
Nel 2009, alla Cnd che aveva il compito di valutare i risultati della strategia uscita da New York dieci anni prima, la Dichiarazione Politica, lungi dal prendere atto di aver fallito l’obiettivo di “eliminare le droghe”, usò l’escamotage di rinnovarlo fino al 2019. Ancora nella stessa Dichiarazione, il termine “riduzione del danno” fu censurato e sostituito dall’ambiguo termine “servizi di supporto”: tanto che sedici stati membri (per lo più europei, ma non solo) firmarono una dichiarazione a margine chiarendo che i “servizi di supporto” erano da tradursi  in “misure di riduzione del danno”. Questa semplice postilla segnava però un punto di svolta, decretando la fine dell’unanimismo.
Dalla seconda decade del 2000, si assiste ad una forte accelerazione nella riforma della politica delle droghe. Il regime internazionale è contestato apertamente nei paesi che più ne sopportano il peso: tanto che nel 2012, la risoluzione finale della Organizzazione degli Stati Americani (OAS), che raccoglie gli stati sia del Sud che del Nord America, nella riunione annuale di Cartagena, rilasciò una dichiarazione finale critica della war on drugs (vedi in questa rubrica Amira Armenta, 20/6/’12). E l’anno successivo la stessa OAS pubblicò un rapporto (Scenarios for the drug problem in the Americas 2013-2025) che invitava a valutare opzioni alternative alla proibizione.
Ancora più importante, forme alternative di regolamentazione delle droghe sono già in via di sperimentazione in varie parti del mondo. La Bolivia ha legalizzato l’uso tradizionale della foglia di coca, riconfermando l’adesione alle Convenzioni con questa importante riserva. In Usa, quattro stati hanno legalizzato la marijuana a scopo ricreativo: a questi, probabilmente si aggiungerà la California, il più importante fra gli stati, nei prossimi mesi. Ma il cambiamento è anche a livello di amministrazione, se è vero che Obama ha deciso di non far valere la competenza federale e ha lasciato autonomia alle sperimentazioni dei singoli stati. Ancora, nel dicembre 2013, il parlamento uruguayano ha approvato la legalizzazione della cannabis. In Europa, sulla base della decriminalizzazione del consumo personale nella gran parte dei paesi, si diffondono a macchia d’olio i Cannabis Social Club, dalla Spagna, al Belgio, alla Svizzera e altri.
Dunque il cambiamento c’è già, il problema è come si ripercuoterà a livello internazionale. Sarà un dibattito vero, dove finalmente si confronteranno opzioni diverse di politica delle droghe? Oppure prevarrà il conservatorismo degli stati che neppure vogliono sentire le parole “cambiamento” e “confronto”? (continua)

Vai al dossier “Verso Ungass 2016

Fonte: Fuoriluogo

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Sondaggio PLUS: useresti la PrEP ?

 

prepUseresti la PrEP (Profilassi Pre Esposizione)?
QUESTO QUESTIONARIO E’ RIVOLTO AGLI UOMINI GAY E AGLI ALTRI MASCHI CHE FANNO SESSO CON ALTRI MASCHI.
Per favore, prima di compilare il questionario, leggi attentamente quanto segue:
Alcune ricerche hanno dimostrato che un farmaco anti-HIV chiamato Truvada assunto quotidianamente da una persona HIV negativa può ridurre significativamente la probabilità che contragga il virus se ha un rapporto sessuale non protetto con un partner che ha l’HIV. Il farmaco potrebbe in futuro essere offerto a determinate persone (ad esempio, chi ha spesso rapporti non protetti con partner diversi, chi è in una relazione stabile con una persona che ha l’HIV, chi ha impossibilità o difficoltà a usare il preservativo, ecc.); chi dovesse in futuro decidere di assumere questo farmaco, dovrebbe effettuare controlli a scadenze regolari (presumibilmente ogni tre mesi). Il farmaco in questione è generalmente ben tollerato ma può avere degli effetti collaterali (i più comuni sono mal di testa, vertigini, diarrea, vomito, nausea).
NOTA BENE: IL TRUVADA NON È ANCORA DISPONIBILE IN ITALIA PER LA PREVENZIONE DELL’INFEZIONE DA HIV (PrEP )

Compila il questionario

Fonte: PLUS Onlus

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Migranti e Aids, paura senza motivo

 

migrantiGiampiero Carosi: «Solo le persone sane affrontano viaggi faticosi. Chi si ammala di Hiv lo fa in Italia»
PAVIA. Il professor Giampiero Carosi oggi alle 18 al collegio Cairoli terrà la conferenza “Migrazione e Hiv. Impatto di due eventi epocali”, per il ciclo di conferenze “I giovedì del collegio Cairoli”. Durante l’incontro si discuterà delle caratteristiche dell’assistenza erogata ai migranti sieropositivi, competenza delle regioni anche in relazione alle politiche dell’immigrazione. Introduce e modera il professor Alberto Giannetti, presidente del’associazione degli alunni del Cairoli.

Professor Carosi, molta gente è convinta che i migranti “portano malattie” come l’Hiv o l’Aids.

«Non è vero. Una percentuale molto elevata di migranti contrae l’infezione qui da noi, non se la porta dal suo paese perché un soggetto malato non si mette in viaggio, e che viaggio: prima il deserto e poi il mare su delle carrette in condizioni disperate».

Qual è la differenza tra Hiv e Aids?

«Hiv è il virus dell’immunodeficienza umana, sigla dell’inglese Human immunodeficiency virus, è l’agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita, l’Aids. L’Hiv ha un lungo periodo di latenza, anche di 8-10 anni, senza che si manifestino i sintomi. L’Aids è la malattia conclamata».

Come si infetta il migrante?

«Vive in condizioni di disagio igienico, sociale, culturale, oppresso da malnutrizione, promiscuità e freddo, così contrae le infezioni come l’Hiv, l’epatite B o sviluppa infezioni latenti come la tubercolosi, che diventa malattia nelle condizioni di disagio. Ma non va disprezzato, 50 anni fa chi aveva la mia età aveva anche la tubercolosi latente, c’erano i dispensari apposta, il benessere ci ha permesso di sconfiggerla».

Esiste il rischio di trasmissione da migranti a italiani?

«Non c’è una commistione tra le patologie del migrante e le patologie del nativo perché sono comunità che non si mescolano. I migranti africani prendono l’Hiv dalle prostitute africane in Italia, che a loro volta lo hanno contratto da clienti italiani e lo diffondono ad altri neri e a nuovi clienti italiani. Hiv, epatite B e tubercolosi, restano confinati nell’ambito delle comunità di migranti. L’unico veicolo verso gli italiani possono essere le prostitute con i nuovi frequentatori, ma chi fa sesso senza protezione si condanna da sè. Un caso su cinque di Hiv è carico degli immigrati, nelle prostitute è ancora meno».

Qual’è la casistica dell’Hiv in Italia?

«Su cento casi di Hiv, 40 sono omosessuali, 30 eterosessuli, 10 tossicodipendenti, gli altri sono fattori non noti. Sono scesi molto i tossicodipendenti, che 30 anni fa rappresentavano addirittura fino l’80% dei casi».

Lei difende la nostra sanità pubblica.

«E’ una fra le migliori del mondo perché è basata sul principio universale e solidale: ognuno ha il diritto di essere curato in quanto persona, non solo come cittadino».

Un esempio pratico?

«I migliori farmaci e le migliori linee guida per la cura dell’Hiv vengono dagli Stati uniti, ma mentre noi nell’85-90 per cento dei pazienti riusciamo a sopprimere il virus nel sangue, negli Stati uniti, paese da cui provengono le cure, questo dato si ferma al 33 per cento».

Perché

«In Italia curiamo tutti, in America solo un terzo della popolazione, chi se lo può permettere pagando».

Che ricordo ha di Pavia e del collegio Cairoli?

«E’ un ricordo che uno si porta dietro per tutta la vita, quei sei anni li ho davanti agli occhi come fosse ieri. Me li ricordi tutti, i professori, i compagni, sarà certamente un’mozione. Sono arrivato a Pavia che avevo 18 anni, nel 59, venivo dalla Liguria, dal mare, e trovai neve, nebbia e freddo, degli spifferi… Ma è servito a dare una svolta alla mia vita, fino ad allora in mezzo alla bambagia, una sterzata di energia. Il collegio è molto importate per la vita universitaria, io chiedevo consiglio a quelli dell’anno prima sugli studi, gli esami, quali istituti frequentare. E Giannetti era il mio decano». (l. sar.)

Fonte: laprovinciapavese

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Interazioni tra farmaci contro HIV e HCV

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

 interazioniSofosbuvir / ledipasvir alza i livelli di alcuni farmaci antiretrovirali nelle persone coinfette.
Nelle persone con coinfezione HIV/HCV che prendono Sofosbuvir / ledipasvir (Harvoni) per il trattamento dell’epatite C con regimi antiretrovirali potenziati, possono verificarsi cambiamenti nei livelli dei farmaci nel sangue, ma queste alterazioni non sono, secondo uno studio sulle interazioni  farmaco-farmaco presentato al CROI il mese scorso a Seattle, considerate clinicamente rilevanti .
Tuttavia, i dati sulla sicurezza e sull’efficacia della combinazione Sofosbuvir / ledipasvir con inibitori della proteasi potenziati mancano, e una maggiore esposizione a tenofovir può destare preoccupazione.

L’avvento dei regimi antivirali senza interferone ha portato ad una rivoluzione nel trattamento per l’epatite cronica da virus C (HCV), anche per i pazienti che sono stati tradizionalmente considerati ‘difficili da trattare’, come quelli con l’HIV / HCV . Studi clinici hanno visto tassi di guarigione per le persone con coinfezione pari a quelle per i pazienti con HCV da solo, e sia le correnti linee guida di trattamento che le etichette dei prodotti indicano che i pazienti HIV-positivi possono essere trattati con gli stessi regimi raccomandati come quelli HIV-negativi, tenendo conto delle potenziali interazioni con la terapia antiretrovirale (ART).

Polina German di Gilead Sciences ha riportato i risultati di uno studio di fase 1 per valutare le interazioni tra Sofosbuvir / ledipasvir e regimi ART contenenti il booster(potenziatore) ritonavir, con atazanavir (Reyataz) o darunavir (Prezista) più tenofovir / emtricitabina (Truvada) in volontari HIV-negativi sani.

Gli studi fino ad oggi hanno dimostrato che Sofosbuvir e ledipasvir hanno potenziali interazioni clinicamente significative con altri farmaci. Sofosbuvir (ma non il suo metabolita predominante GS-331007) e ledipasvir sono substrati della P-glicoproteina (Pgp) e trasportatori di farmaci BCRP, che svolgono un ruolo nella distribuzione del farmaco e nella sua eliminazione; ledipasvir inibisce anche l’azione di Pgp e BCRP. Né Sofosbuvir nè ledipasvir sono metabolizzati dagli enzimi del citocromo P450 che sono inibiti da ritonavir – e questo aumenta i livelli di molti farmaci, tra cui gli inibitori della proteasi dell’HIV.
Prima di studiare Sofosbuvir / ledipasvir nei pazienti con coinfezione HIV / HCV, gli scienziati Gilead hanno condotti studi di interazione tra farmaci con regimi antiretrovirali più comunemente utilizzati. All’inizio, regimi contenenti efavirenz (Sustiva), raltegravir (Isentress) o rilpivirina (Edurant) più Truvada si sono dimostrati sicuri quando combinati con Sofosbuvir / ledipasvir.
Gli studi ION-4 e ERADICATE si sono limitati a questi regimi ART.

La co-somministrazione con inibitori della proteasi potenziati con ritonavir è più impegnativa, perché ritonavir mostra interazioni con molti farmaci. Sofosbuvir / ledipasvir ha fatto aumentare i livelli di tenofovir a causa della sua inibizione di Pgp e BCRP, ma non abbastanza per essere considerato clinicamente importante.
Tuttavia, tenofovir raggiunge livelli più elevati quando assunto con gli inibitori della proteasi potenziati con ritonavir, e aggiungendo l’effetto di Sofosbuvir / ledipasvir potrebbe potenzialmente portare livelli di farmaco abbastanza elevati da causare tossicità renale o di altri effetti collaterali.

Lo studio

Lo studio in fase uno presentato da Polina German è stato effettuato su 97 partecipanti sani(70% uomini).
I partecipanti della parte A hanno ricevuto contemporaneamente la dose fissa Sofosbuvir / ledipasvir (400mg / 90mg) sia con atazanavir / ritonavir (300mg / 100mg) o darunavir / ritonavir (800mg / 100mg) più tenofovir / emtricitabina (300g / 200mg) per 10 giorni . Sulla base dei risultati di A, i volontari della parte B hanno assunto Sofosbuvir / ledipasvir e gli antiretrovirali a distanza di 12 ore, per vedere come questo potresse cambiare interazioni farmacologiche.

I ricercatori hanno misurato concentrazioni plasmatiche di Sofosbuvir, suo metabolita GS-331007, ledipasvir e tutti i farmaci antiretrovirali nelle 24 ore e calcolati i parametri farmacocinetici (PK).

La somministrazione concomitante di Sofosbuvir / ledipasvir con i farmaci antiretrovirali è apparsa sicura e ben tollerata, con eventi avversi osservati lievi o moderati. Gli effetti collaterali più comunemente riportati in tutti i regimi sono stati mal di testa e nausea. Alcune persone con atazanavir / ritonavir hanno mostrato ingiallimento degli occhi e innalzamento della bilirubina; l’unico evento avverso grave è stato un forte dolore addominale sempre nel gruppo con atazanavir/ritonavir.

I ricercatori hanno osservato un modesto incremento dei livelli di GS-331007 e ledipasvir quando somministrato contemporaneamente ad atazanavir / ritonavir più Truvada. Polina German ha suggerito che l’aumento di ledipasvir era probabile per effetto di atazanavir / ritonavir , mentre la ragione per l’aumento del GS-331007 (che viene eliminato dai reni) è sconosciuta.
Al contrario, la somministrazione simultanea di Sofosbuvir / ledipasvir con darunavir / ritonavir più Truvada ha comportato una piccola riduzione del livello di Sofosbuvir. Questi cambiamenti non sono stati considerati clinicamente rilevanti sulla base di precedenti valutazioni di sicurezza di esposizione.

Riguardo l’effetto di Sofosbuvir / ledipasvir sulla ART, l’abbassamento dei livelli di atazanavir e ritonavir è avvenuto quando le terapie sono state assunte simultaneamente. Tali cambiamenti non giustificavano comunque un aggiustamento della dose.
Sofosbuvir / ledipasvir non ha avuto effetto notevole sui livelli di darunavir.

I livelli di tenofovir sono aumentati “moderatamente” – dal 30% al 60% – quando assunto con Sofosbuvir / ledipasvir e atazanavir / ritonavir o darunavir / ritonavir, rispetto ai livelli raggiunti quando assunto con i soli inibitori della proteasi potenziati. Ancora una volta, l’effetto è stato attribuito alla inibizione di ledipasvir dei trasportatori Pgp e BCRP.
Polina German ha osservato però che in un altro studio Sofosbuvir / ledipasvir non ha avuto alcun effetto apparente sulla eliminazione di tenofovir dai reni, quindi l’inibizione di cui sopra non può essere il meccanismo alla base di livelli elevati.
Questi cambiamenti di livelli di farmaco erano simili indipendentemente dal fatto che Sofosbuvir / ledipasvir e gli antiretrovirali siano stati presi contemporaneamente o a 12 ore di distanza, mostrando che il dosaggio sfalsato non ha avuto alcun beneficio significativo.

I ricercatori hanno sottolineato che non ci sono attualmente dati disponibili sulla sicurezza e l’efficacia di Sofosbuvir / ledipasvir con inibitori della proteasi potenziati nei pazienti con coinfezione HIV / HCV. Nel loro abstract hanno aggiunto che “la sicurezza delle concentrazioni di tenofovir più elevate in questa impostazione non è stata stabilita,” e quindi “i pazienti devono essere monitorati per le reazioni avverse associati a tenofovir se co-somministrato “.

Polina German ha concluso che altri studi in corso stanno valutando Sofosbuvir / ledipasvir con altri regimi antiretrovirali tra cui Dolutegravir (Tivicay) più Truvada, e un coformulazione sperimentale contenente elvitegravir, cobicistat, emtricitabina e tenofovir alafenamide (TAF), una nuova versione che ha minor effetto sui reni e le ossa rispetto all’attuale tenofovir disoproxil fumarato (TDF).

Reference

German P et al. Drug-drug interactions between anti-HCV regimen ledipasvir/sofosbuvir and antiretrovirals. 2015 Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (CROI), Seattle, abstract 82, 2015.

Fonte: Aidsmap
Traduzione e adattamento a cura di Poloinformativo
In caso di utilizzo citare per cortesia anche la fonte della traduzione

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L’avanzata del virus osservata in tempo reale

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Una nuova tecnica di tracciaggio delle cellule infette permette di studiare la replicazione del virus all’interno dei tessuti, con un’accuratezza mai raggiunta prima. Lo studio effettuato sui macachi potrebbe avere importanti conseguenze nel trattamento di pazienti sieropositivi umani.

Per la prima volta nella storia della medicina è stato possibile osservare la replicazione in tempo reale del virus dell’AIDS all’interno di un organismo vivente. Una nuova tecnica di imaging diagnostico ha permesso di tracciare una mappa della diffusione del virus di immunodeficienza delle scimmie (SIV) – il corrispettivo animale del virus dell’HIV – in alcuni macachi.

La scoperta pubblicata su Nature Methods permette di far luce su alcune modalità ancora misteriose della diffusione del virus all’interno dei tessuti dell’organismo.

Indisturbato. Nell’uomo, la replicazione del virus dell’HIV avviene nelle cellule dei tessuti, e non nel sangue: questo fa sì che talvolta i livelli dell’infezione riscontrati nel sangue non siano totalmente rappresentativi della diffusione del virus, anche se normalmente le analisi del sangue sono un metodo perfettamente adeguato per rintracciare il virus nell’uomo.

Virus ombra. I pazienti sieropositivi sotto terapie antiretrovirali hanno talvolta livelli di HIV talmente bassi che non emergono dagli esami del sangue: il virus continua però a replicarsi in “silenzio” e le possibilità di combatterlo in modo adeguato vengono meno.

La mappa del virus. Per ovviare al problema, Francois Villinger della Emory University di Atlanta ha preso in prestito una tecnica usata nell’oncologia. Un tracciante radioattivo è stato legato a un anticorpo che si attacca selettivamente soltanto alle proteine espresse sulla superficie di cellule attaccate dal SIV.

L’anticorpo così ingegnerizzato è stato iniettato in 12 macachi infetti che sono stati sottoposti, un’ora dopo, a tomografia ad emissione di positroni (PET). L’esame – ribattezzato “immunoPET” – ha permesso di tracciare gli anticorpi e individuare così i luoghi in cui il virus era diffuso.

Diffusione a sopresa. Il SIV si stava replicando, come previsto, in intestino, linfonodi e nel tratto genitale degli animali, ma anche in alcuni tessuti inattesi, per esempio nelle cavità nasali: «L’intero tratto respiratorio alto è ricco di tessuto linfatico, non ci avremmo mai pensato» ammette Timothy Schacker dell’Università del Minnesota, che studia le modalità di infezione dell’HIV. Livelli sorprendentemente alti del virus SIV sono stati individuati anche nei polmoni, organi che finora avevano ricevuto poca attenzione da chi fa ricerca in materia.

Non ci sfuggi. Tre macachi sono stati nuovamente sottoposti a PET a 5 settimane da un trattamento antiretrovirale. Nessuno dei primati mostrava di avere ancora il virus nel sangue, ma il SIV è stato osservato nuovamente replicarsi nei tessuti. La prova, questa, che l’immunoPET potrebbe costituire un’alternativa più efficace e meno invasiva alle consuete e ripetute biopsie, spesso inefficaci nello stanare il virus.

Dalla scimmia all’uomo. La ricerca potrebbe aiutare a indirizzare meglio le cure nei pazienti sottoposti a trattamenti antiretrovirali, e a capire per quanto tempo e in quali tessuti il virus continui a replicarsi a basso ritmo, o se le modalità di propagazione del virus dipendano dal tipo di trasmissione (sessuale o intravenosa). Adattata all’uomo, l’immunoPET potrebbe chiarire quali strategie terapeutiche siano effettivamente più efficaci, e quali siano le tipologie di cellule più resistenti ai trattamenti antiretrovirali.

FONTE: focus.it

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Prevenzione dell’ AIDS a Firenze

 

prevenzioneCampagna di prevenzione lanciata dalla commissione consiliare con la collaborazione tra Dipartimento Prevenzione Asl e Reparto Malattie Infettive di Careggi.
Prevenzione dell’AIDS, Fratini (PD): “Test HIV per i ragazzi che fanno la visita per l’idoneità sportiva”
Inserire il test HIV, su base volontaria, nel protocollo medico per i ragazzi e le ragazze che fanno la visita per l’idoneità sportiva: questa l’idea lanciata oggi dalla quarta commissione Sanità e Salute. Il presidente Massimo Fratini, intervenendo per illustrare la campagna di prevenzione dell’AIDS lanciata dalla commissione consiliare e cominciata venerdì scorso con i test HIV effettuati dai consiglieri membri e da molti dipendenti degli uffici del consiglio, ha spiegato come proseguirà questa iniziativa, portata avanti con la collaborazione tra Dipartimento Prevenzione Asl e Reparto Malattie Infettive di Careggi. “Come commissione – ha detto Fratini – vogliamo proporci come osservatorio annuale sullo stato di diffusione della malattia e su quanto si sta facendo per contrastarla”.

Nella mozione, già presentata agli uffici e che andrà al voto nel prossimo consiglio comunale, la commissione invita l’amministrazione “a mettere in campo, compatibilmente con i ruoli e le funzioni dell’amministrazione comunale, ogni azione possibile nei vari contesti (scolastico, sportivo, culturale, associativo) per aumentare il livello di sensibilizzazione, di informazione e di attenzione rispetto all’infezione da HIV”;
“A intervenire presso Azienda Sanitaria e la SdS perché si adoperino per sensibilizzare i medici di base affinché invitino i loro pazienti all’adozione di misure idonee ed all’effettuazione del test HIV”;
“A promuovere un osservatorio sulla malattia coinvolgendo il mondo del volontariato, la ASL, l’Azienda Ospedaliera, l’agenzia regionale di sanità e le istituzioni, al fine di monitorare costantemente l’andamento della malattia e dei contagi e si adoperi nel campo della prevenzione”;
“A Sensibilizzare gli ambulatori che vedono una forte concentrazione di giovani, in particolare quelli di medicina dello sport, all’educazione sanitaria nei confronti della malattia e alla promozione ed effettuazione del test”.
Segue il testo completo della mozione

Tipologia: Mozione
Soggetti proponenti: Quarta commissione,
Oggetto: campagne informative e di prevenzione nei confronti dell’HIV
IL CONSIGLIO COMUNALE Considerato che dalle relazioni dei massimi esperti di AIDS presenti sul territorio di Firenze si è ravvisato un forte calo di informazione presso la popolazione, soprattutto giovanile Visto che:

• Dal 1982 al 2013 si sono ammalati di AIDS 66.536 persone. Di queste 42.369 sono morte.

• negli ultimi anni si viaggia su una media di 1.000 NUOVI malati e 300 decessi all’anno.

• nel 2013 è aumentata la proporzione delle persone che arrivano allo stadio di AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività, passando dal 20.5% al 68.2%.

• in Italia si stimano circa 130.000/140.000 persone sieropositive inconsapevoli e che in Toscana vi è una persona su 500 sieropositiva inconsapevole. Constatato che ogni anno non diminuisce il numero dei nuovi casi di infezione da HIV in Toscana e a Firenze Considerato che l’avvento dei farmaci antiretrovirali ha totalmente modificato il decorso dell’AIDS, ma che della malattia non si guarisce, Considerata la necessità del non abbassare la guardia nonostante la suddetta terapia e ritenendo fondamentale un’azione sulla società diffondendo, soprattutto tra i più giovani una reale conoscenza sui rischi e le modalità di trasmissione del virus nonché una cultura della prevenzione
INVITA L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE

• a mettere in campo, compatibilmente con i ruoli e le funzioni dell’amministrazione comunale, ogni azione possibile nei vari contesti (scolastico, sportivo, culturale, associativo) per aumentare il livello di sensibilizzazione, di informazione e di attenzione rispetto all’infezione da HIV.
• A intervenire presso Az. Sanitaria e la SdS perchè si adoperino per sensibilizzare i medici di base affinchè invitino i loro pazienti all’adozione di misure idonee ed all’effettuazione del test HIV
• A promuovere un osservatorio sulla malattia coinvolgendo il mondo del volontariato, la ASL, l’Azienda Ospedaliera, l’agenzia regionale di sanità e le istituzioni, al fine di monitorare costantemente l’andamento della malattia e dei contagi e si adoperi nel campo della prevenzione.
• A Sensibilizzare gli ambulatori che vedono una forte concentrazione di giovani, in particolare quelli di medicina dello sport, all’educazione sanitaria nei confronti della malattia e alla promozione ed effettuazione del test.
Fonte: Comune di Firenze – Ufficio stampa

Canale informativo: gonews.it

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Nel mondo sono le donne le più colpite

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Sono le giovani donne che portano il peso delle nuove infezioni da HIV. Troppe giovani donne lottano ancora per proteggersi contro la trasmissione sessuale del virus e per ottenere il trattamento di cui hanno bisogno. Sempre loro risultano essere particolarmente vulnerabili alla tubercolosi – una delle principali cause di morte nei paesi a basso reddito delle donne tra i 20 e i 59 anni.

Questa vulnerabilità deriva, tra l’altro, dalle disuguaglianze sociali, le pratiche culturali dannose per la loro salute e la povertà in cui esse sono mantenute.

In particolare, nell’Africa sub-sahariana, le giovani ragazze tra 15 e 24 anni hanno il doppio delle probabilità di essere infettate rispetto ai maschi della stessa età. Una realtà che la Piattaforma belga per la prevenzione dell’Aids vuole ricordare in occasione della Festa della Donna, domenica 8 marzo.

Secondo recenti indagini l’89% delle donne ha riferito esperienze o timori di violenza, prima, durante o dopo la diagnosi da HIV. Mentre l’80% ha sperimentato attacchi di depressione, sentimenti di vergogna e rifiuto.

FONTE: west-info.eu.it

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Negazionismo HIV/ AIDS “peer-reviewed”?

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aidsScienziati e pazienti non ci stanno
Quattro ricercatori italiani, assieme a un forum di pazienti, hanno chiesto alla rivista Frontiers in Public Health di ritirare ufficialmente l’articolo della psicologa Patricia Goodson che diffonde alcune tra le più pericolose bufale su Hiv/Aids

 

 

 

La revisione paritaria è un sistema tutt’altro che perfetto, ma complessivamente è ancora un potente strumento che permette alla comunità scientifica di collaborare, correggere i propri errori, e tenere fuori dalla porta la maggior parte dei ciarlatani. Ma se la peer-review non è perfetta, l’editoria scientifica ne moltiplica i difetti. Per esempio gli editori predoni hanno sfruttato il modello open access, in sé assolutamente rivoluzionario, per pubblicare a pagamento qualunque baggianata, mentre un problema comune a tutti gli editori è quello del ritiro degli studi. Il lavoro del blog Retraction Watch dimostra che l’attuale sistema con il quale l’editore o gli autori ritirano ufficialmente una pubblicazione, deve essere migliorato sia nei tempi (spesso troppo lunghi) sia nelle modalità.

Visto che da anni si discute di questi temi, il recente comportamento del famoso gruppo editoriale Open Access Frontiers riguardo a un articolo pseudoscientifico pubblicato lo scorso settembre su Frontiers in Public Health è preoccupante.

I fatti, in sintesi, sono i seguenti: Patricia Goodson, forte di una laurea in linguistica, un master in filosofia dell’educazione e uno in teologia, ora è professore al dipartimento Health and Kinesyology della Texas A&M University. Nonostante la mancanza di ogni base accademica in virologia o immunologia, la Goodson ha vergato un paper intitolato Questioning the HIV-AIDS hypothesis: 30 years of dissent e lo ha inviato a Frontiers in Public Health. Il 7 settembre il paper è stato accettato per la pubblicazione e il 23 settembre è stato pubblicato.

Dal ridicolo rifiuto che il virus HIV sia responsabile dell’AIDS, al mettere in dubbio l’efficacia provata della terapia con antiretrovirali, il paper è una perfetta sintesi del materiale negazionista che si può raccogliere con dieci minuti di lavoro su Google eppure, in qualche modo, questo deve essere sfuggito ai revisori. Immediatamente dopo la pubblicazione, è scattata la protesta della comunità scientifica mondiale, che potremmo riassumere con uno dei primi commenti sotto il paper.

Delete This Profile Coming soon from Frontiers in Geology, the great new article: “Questioning the ellipsoidal earth hypothesis: 3000 years of dissent”.

To be followed by a spectacular special issue in Frontiers in Chemistry: “I am Phlogiston (And So Can You!)”

HIV denialism would be laughable if it were not irresponsible and deadly.

26 Sep 2014 at 07:23am

La rivista ha immediatamente comunicato che a seguito delle proteste avrebbe lanciato un’indagine interna. Qualche giorno fa è stato comunicato il verdetto: il paper sarà declassato da studio a opinione personale.

Qualcuno potrebbe dire che è tutto risolto, ma in realtà la scelta di non ritirare l’articolo non ha fatto altro che peggiorare una situazione già drammatica. Anche in questa forma, le bufale della dottoressa Goodson rimangono associate a una letteratura scientifica alla quale non appartengono.

In Italia il sito Hivforum.info, un punto di riferimento per l’informazione sulla sieropositività, ha deciso di inviare ai responsabili della rivista una lettera di protesta sulla decisione firmata anche da quattro importanti scienziati italiani che si occupano di HIV/AIDS:

– Guido Poli, Unità di Immunopatogenesi dell’AIDS, Ospedale San Raffaele e Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Italia

– Guido Silvestri, Emory University School of Medicine, Emory University, Atlanta, GA, USA

– Andrea Savarino, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia

– Giovanni Maga, Instituto di Genetica Molecolare IGM-CNR, Pavia, Italia

La lettera, inviata domenica scorsa e scaricabile a questo indirizzo, demolisce punto per punto le bufale propagandate dalla dottoressa Goodson, e chiede a Frontiers di considerare le conseguenze della sua decisione:

[…] Sfortunatamente la nostra fiducia nel giudizio dei senior editor di Frontiers sembra sia stata malriposta. La decisione di declassare il paper a “Opinion Article” non farà nessuna differenza per il pubblico non specializzato a cui dal principio ci si voleva rivolgere, che vedrà solamente che le affermazioni della Goodson sono state pubblicate su una rivista con revisione paritaria e una certa reputazione, e sono per questo da ritenersi credibili. La pubblicazione del paper è stata dal principio un errore imbarazzante che ha evidenziato ai lettori e ai collaboratori un significativo deficit di controllo editoriale da parte del giornale. Nel suo Statement of Concern, l’editore ha promesso di rendere pubblici i risultati dell’indagine su come il paper è arrivato alla pubblicazione. A oggi questo non è accaduto. La decisione dei senior editor di Frontiers di mantenere la pubblicazione nonostante siano stati avvertiti delle probabili conseguenze per la salute pubblica è incomprensibile, e sembra dimostrare indifferenza o ignoranza delle responsabilità della rivista verso i propri lettori, i collaboratori e il pubblico.

 

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: “HIV-budding-Color” by C. GoldsmithContent Providers: CDC/ C. Goldsmith, P. Feorino, E. L. Palmer, W. R. McManus – via Wikimedia Commons.

Fonte: https://oggiscienza.wordpress.com/2015/03/05/negazionismo-hivaids-peer-reviewed-scienziati-e-pazienti-non-ci-stanno/

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