Una storia d’amore tra due città. Poi l’inizio di una convivenza, e il rapporto che si deteriora. Fin quando, prima che lei lo lasci, lui la violenta: «Sapeva che era malato, lo ha fatto apposta». Ora Veronica ha un messaggio per tutti.
«Troppi giovani sottovalutano il problema, hanno rapporti non protetti, sono poco consapevoli dei rischi che corrono. Non sanno che basta un attimo e la vita ti cambia per sempre».
Chi parla è Veronica, 49 anni, di Milano, che convive con l’Hiv da quando ne aveva 27. «Forse i ragazzi non si proteggono perché di Aids non se ne parla quasi più, a parte quando ci sono le giornate dedicate o accade qualche evento eccezionale. Sono poco educati alla prevenzione, che è l’unica cosa che ti salva. Invece, bisognerebbe parlarne, e tanto, perché il virus esiste ancora, esiste davvero e continua a passare da una persona all’altra, silenzioso».
In Italia ogni due ore qualcuno contrae il virus dell’Hiv. In totale si è calcolato che ogni anno si infettano circa 4 mila persone, soprattutto giovanissimi che hanno rapporti non protetti (l’80 per cento) e che non sanno che il virus, una volta contratto, non può più essere eliminato (il 25 per cento).
Sono dati che fanno paura. Roba che forse neanche negli anni ’80, quando di Aids si cominciava appena a parlarne e le campagne informative erano molto più diffuse di adesso, soprattutto nelle scuole. «Ricordo che con una amica decidemmo di fare il test proprio dopo aver assistito all’ennesimo dibattito.Il risultato fu negativo. Decidemmo che da quel momento non avremmo più avuto rapporti non protetti. Non potevo certo immaginare quello che mi sarebbe accaduto».
L’incontro con un ragazzo di passaggio a Milano. L’inizio di una storia d’amore. La decisione di lui di trasferirsi dalla sua città in Lombardia e l’inizio di una convivenza. «Ero innamorata, ma pretendevo lo stesso che usassimo il preservativo. Gli chiesi di fare anche lui il test, così ci saremmo sentiti entrambi più tranquilli. Ma lui continuava a rimandare. Poi una sera, eravamo ormai alla fine del nostro rapporto, mi usò violenza. E ovviamente lo fece senza preservativo. È bastata quell’unica volta». La voce di Veronica si spezza, il trauma è ancora forte, ed è doloroso raccontare la propria esperienza. Se ha deciso di farlo è per sensibilizzare chi legge, e soprattutto i più giovani.
Il 3, 4 e 5 aprile nelle piazze, nei supermercati e negli ospedali di tutta Italia saranno allestiti 2200 banchetti dove i volontari di AnlAids, l’associazione che combatte contro questa terribile malattia, sensibilizzando e promuovendo anche la ricerca, offriranno a chi passa un bonsai, la pianta ormai diventata simbolo della lotta all’Aids. «Curarli è un modo per ricordarsi che l’impegno per fermare questo virus deve essere quotidiano, come quotidiane sono le cure di cui hanno bisogno le persone che vivono con l’Hiv», dicono dall’associazione.
E Veronica aggiunge: «Quel “vivono con l’Hiv” è importante, va sottolineato. Io ci convivo da 22 anni con questo virus, e come me siamo in tanti. Oggi, grazie ai farmaci, si può scongiurare a lungo il passaggio alla fase della malattia conclamata, si può condurre una vita quasi normale. Io lavoro, vado a teatro, ho dei fidanzati».
Certo, se glielo avessero detto quando scoprì che aveva contratto il virus non ci avrebbe creduto. «Fu uno choc. Un giorno quel ragazzo, che ormai era diventato un ex, mi chiamò. Mi disse che si trovava in ospedale. Scoprii che aveva l’Aids, e che lo aveva sempre saputo. Che quando io gli chiedevo di fare il test, lui rimandava perché conosceva già il risultato. Quando mi usò violenza, sapeva che avrebbe potuto infettarmi».
«Feci anche io il test e il risultato non lasciò adito a dubbi. Dopo, ero terrorizzata. Non sapevo come comportarmi, come dirlo ai miei genitori. Deciso di non dirglielo, temevo che mi giudicassero. All’epoca, negli anni ’80, l’Aids veniva ancora associata solo ai gay e al mondo della prostituzione. Avevo paura del loro giudizio. Mi dissi: “Glielo farò sapere più avanti”. Invece non l’ho mai fatto, sono passati tanti anni e ancora la mia famiglia non sa niente».
Come, del resto, non lo sanno tanti dei suoi amici. «La gente ha ancora troppa paura. Lì per lì fanno finta di niente, ma poi ti isolano. Glielo leggi in faccia che hanno paura di toccarti, come se tu potessi contagiarli solo sfiorandoli. Allora molti come me non dicono niente. Le strade d’Italia sono piene di persone che hanno l’Hiv e che non lo fanno sapere».
Raramente Veronica lo dice ai suoi fidanzati. «L’ho fatto solo due volte. I miei partner mi hanno capita. Con il secondo la storia è durata più a lungo, ma si vedeva che aveva paura a toccarmi. Dopo aver scoperto la verità, non era più spontaneo come prima, ed è finita».
«Per anni sono stata in terapia, dovevo affrontare i miei fantasmi. All’inizio ero convinta che sarei morta presto, e non è facile vivere con questa consapevolezza, e accettarla. In seguito, realizzai che non avrei mai potuto avere figli. È stato il momento più difficile».
Anche se con le cure moderne le cose sono cambiate. «Qualche anno fa un medico mi ha detto: “Signora, lei lo sa che se vuole può fare un bambino?”. Mi ha spiegato che con le nuove terapie molte mamme sieropositive danno alla luce bambini sani. Sono scoppiata a piangere, poi però non me la sono sentita di tentare». Scoppia a piangere: «Non è facile rinunciare all’idea di avere un figlio. Non è facile vivere nel silenzio. È come essere condannata senza colpa. Per questo è importante che se ne parli. Non posso accettare l’idea di tutti quei ragazzi giovanissimi lì fuori, che fanno sesso senza protezione, inconsapevoli dei rischi ai quali vanno incontro. Devono sapere quello che rischiano, devono pensarci e proteggersi, prima che sia troppo tardi».
FONTE: vanityfair.it
L’articolo «Io, sieropositiva, dico ai giovani proteggetevi» è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.