Notizia da Poloinformativo HIV AIDS
Sono 11 i progetti finanziati dall’UE guidati da leadership italiana. Migliorano le cure nonostante manchi ancora un vaccino per l’Hiv. Rimane il problema del sommerso. In arrivo nuovi programmi per reperire fondi. È quanto emerso alla VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (Icar) in corso a Riccione.
Individuare percorsi di diagnosi e cura dell’infezione da Hiv che si basino sulle interazioni tra ricerca di base, ricerca diagnostico-clinica ed esigenze delle persone sieropositive.
È questo l’obiettivo della VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (Icar) in corso a Riccione che ha visto protagonisti i giovani ricercatori italiani e stranieri.E Letizia Marinaro dell’Università di Torino si è aggiudicata il Premio ICAR-CROI Awards 2015 per i giovani ricercatori italiani.
Il primato italiano. La ricerca italiana è all’altezza delle altre nazioni europee, ha ricordato Adriano Lazzarin, della Divisione di malattie infettive Irccs San Raffaele e Presidente Icar. E il principio alla base di questa affermazione è molto semplice: “i farmaci antiretrovirali sono disponibili per tutti. L’Italia è stata efficiente anche nell’ottenerli nella fase di sviluppo; si dovrebbe rendere più rapida la registrazione per averli a disposizione”.
Un vantaggio del sistema italiano è che ha fatto un piano di intervento ministeriale con una legge centrata sui professionisti di settore (centri e ambulatori di malattia infettiva, distribuzione farmaci negli ospedali) (L. 135/90). La retention in care è assolutamente più efficace in Italia che in tutti gli altri Paesi occidentali: quello italiano è un modello di intervento da esempio per gran parte del resto del mondo, che porta ad una viremia negativa dell’80% dei pazienti seguiti. Negli Usa, ad esempio, i molteplici passaggi necessari dal test alla cura fino al medico di medicina generale porta a risultati molto più modesti (50%).
Risorse economiche. Un passo in avanti ci sarà sul fronte del sostegno economico. Come annunciato da Stefano Vella, Direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Iss “un nuovo modello di cooperazione tra gli stati membri con un progetto denominato EDCTP Plan permetterà a breve un nuovo slancio per il reperimento dei fondi, a garanzia della salute globale e della ricerca”.
Ci sono le cure, non un vaccino. Ad oggi, un vaccino per l’Hiv non esiste. È stata una chimera inseguita dai primi ricercatori più negli anni ’80, spiega Lazzarin “il problema principale è che un vaccino facile da costruire si ricava da un anticorpo che inattiva il virus e lo blocca; per l’Hivciò non può essere realizzabile, poiché gli anticorpi neutralizzanti, laddove esistano, non sono in grado di bloccare l’infezione una volta che è entrata nella cellule. Quindi il problema di non acquisire l’infezione si può risolvere cercando di far produrre anticorpi contro il virus, ma ad oggi nessun anticorpo da solo sembra in grado di neutralizzare l’infezione”.
Si possono dunque solamente potenziare le difese immunitarie contro il virus. Con la cosiddetta vaccinazione terapeutica e non preventiva che viene aperta una finestra sul rafforzamento delle risposte immunitarie attraverso le cellule che generano anticorpi: l’organismo sottoposto alla vaccinazione riuscirebbe così a potenziare la capacità di produrre anticorpi attraverso lo stimoli di cellule dendritiche. Le cellule dendritiche sono le prime colpite dall’infezione, che poi passano ai linfociti. Il risultato delle dimostrazioni effettuate finora non ha però mostrato il vaccino come un obiettivo facilmente perseguibile. In merito a quegli studi internazionali che prefigurano risultati rivoluzionari dunque si può essere ottimisti, ma con molta cautela.
Test e prevenzione. Resta il problema del “sommerso”, ovvero di coloro che ignorano di essere infetti. Oggi, il comportamento maggiormente a rischio per il sommerso sono i rapporti omosessuali tra giovani maschi; discorso a parte va fatto per gli immigrati, il cui discorso è complesso in quanto rappresentano il sommerso per eccellenza, mentre le diverse caratteristiche etniche e la provenienza geografica generano notevoli differenze per il rischio di infezione.
“Bisogna stimolare le persone, oltreché con la campagna di informazione/prevenzione, soprattutto all’esecuzione dei test – ha aggiunto Lazzarin – è necessario rivolgersi a singoli, in particolare ai giovani”. Spesso i metodi più semplici vengono ignorati: per chi ha raggiunto una certa età, il test dell’HIV può essere effettuato assieme a quello delle malattie più comuni. I più giovani, che sono anche i meno motivati, devono essere sollecitati e avere a disposizione strumenti semplici, come il moderno test salivale, in uso anche per l’epatite C.
FONTE: quotidianosanità.it