L'epatite B è causata da virus HBV (famiglia Hepadnaviridae), virus a DNA. La trasmissione può avvenire per via parenterale, per trasmissione sessuale o verticale. La maggior parte delle forme acute di epatite B decorrono asintomatiche o con pochi sintomi e sono spesso autolimitanti. Quando sintomatiche, le forme acute decorrono con un quadro clinico sovrapponibile a quello dell’epatite A anche se spesso meno intenso. Nella maggior parte dei casi i pazienti vengono a conoscenza dell’infezione da HBV in seguito ad un esame sierologico eseguito di routine oppure in seguito allo sviluppo di una forma cronica. In una minoranza dei casi, l’infezione da HBV va incontro a cronicizzazione.
Epidemiologia: Il virus HBV infetta circa 400 milioni di persone nel mondo che risultano portatori cronici dell’infezione ed è responsabile di circa 600 mila morti per anno nel mondo. In Italia, si è assistito ad un progressivo calo di incidenza di epatite B per anno ed età dopo l’introduzione della campagna vaccinale. Anche se negli ultimi anni vi è stato un nuovo aumento in relazione all'immigrazione di soggetti infetti provenienti da aree dove il virus è molto diffuso. In Italia la prevalenza di positività per HBsAg è in media <1%.
E’ un virus ubiquitario. Vi sono aree a bassa prevalenza (intorno allo 0.1-2%) come USA, Canada, Europa occidentale, Australia e Nuova Zelanda; aree a prevalenza intermedia (dal 2-7%) come Giappone, Asia centrale, Israele, Europa e centro-sud America; aree a prevalenza elevata (>8%) come Cina, regioni del sudestasiatico, Haiti, Repubblica domenicana ed Africa. Nelle zone ad alta prevalenza è frequente la trasmissione per via verticale. Sono stati classificati 8 genotipi di HBV (A-H), che differiscono sia per la distribuzione geografica che per l’evoluzione verso le forme croniche e la risposta alla terapia con Peg-IFN.
Trasmissione: l’epatite B veniva definita in passato “epatite da siero”, indicando come principale veicolo di infezione il sangue. In realtà questa non è la principale modalità di trasmissione. La maggior parte delle infezioni avvengono per via sessuale e verticale. E’ inoltre possibile la trasmissione attraverso la condivisione di spazzolini da denti o rasoi con persone infette oppure attraverso alcuni trattamenti (tatuaggi, piercing, manicure o pedicure).
A chi proporre lo screening sierologico?
- Eterosessuali ed Omosessuali che hanno rapporti promiscui senza l’uso del preservativo
- Storia di infezioni sessualmente trasmissibili
- Scambio di siringhe infette
- Conviventi di persone affette da HBV
- Neonati di madri affette da HBV
- Partner sessuali di persone con infezione da HBV
- Pazienti sottoposti a emodialisi
- Donne gravide
- Operatori sanitari in contatto con sangue o materiale infetto
- Persone che necessitino di trasfusioni frequenti
- Viaggiatori in zone ad alta endemicità per HBV
- Detenuti negli Istituti di prevenzione e penitenziari
- Individui nati in aree ad intermedia/elevata prevalenza (immigrati/bambini adottivi)
- Trasfusi prima del 1973 (anno di inizio dello screening HBV nei donatori)
- Pazienti che necessitino terapie immunosoppressive o chemioterapie (che includano cortisone o anticorpi monoclonali)
Clinica: Nella maggior parte dei casi l’infezione da HBV decorre in maniera sintomatica o paucisintomatica.
Incubazione: 30-120 giorni
Periodo preitterico: caratterizzato da sintomi vaghi (astenia, malessere generale, senso di peso a livello epatico, nausea e vomito).
Periodo itterico: caratterizzato da ittero sclerocutaneo di durata variabile, accompagnato da feci chiare ed urine scure.
Convalescenza: nella maggior parte dei casi al termine della fase acuta possono permanere sintomi vaghi (astenia e malessere generale).
Diagnosi: Gli esami ematochimici eseguiti durante la fase itterica possono mostrare un’alterazione degli indici di citolisi epatica (ALT>AST) e un aumento dei livelli di bilirubina da lieve a moderato. In alcuni casi il quadro clinico può assumere caratteristiche che ricordano l’ittero ostruttivo, con notevole aumento degli indici di colestasi, rispetto agli indici di citolisi epatica che risultano meno alterati. Per la diagnosi è essenziale eseguire il dosaggio di HbSAg, anticorpi antiHbS, HbEAg, anticorpi antiHbE, anticorpi anticore (Hbc IgM + IgG) e HBV DNA.
1- HbSAg: è un marker di infezione in atto. Esso risulta positivo nella fase acuta dell’infezione e rimane tale nelle forme croniche. In caso di guarigione esso scompare alla comparsa degli anticorpi (HbSAb). L’HbSAg viene ricontrollato a distanza di 6 mesi dalla fase acuta. La mancata sieroconversione (scomparsa di HbSAg e comparsa di HBsAb), è indicativa di cronicizzazione.
2- HbEAg: è indicativo di .replicazione virale. Esso scompare rapidamente nelle forme a evoluzione favorevole con la comparsa di anticorpi specifici (HbEAb). Nelle forme croniche l’HbEAg puo’ scomparire lentamente con sieroconversione (comparsa di HbEAb) oppure rimanere presente nel sangue.
3- HbCAg: non è identificabile nel sangue con le comuni metodiche laboratoristiche. E’ invece possibile dosare gli anticorpi antiHbC, differenziandoli in IgM e IgG. In fase acuta si evidenziano nel sangue gli anticorpi di classe IgM ad alto titolo. Nella maggior parte dei casi essi rimangono detettabili in fase di convalescenza solo per alcuni mesi. Gli anticorpi di classe IgG sono evidenziabili in fase acuta e rimangono presenti probabilmente per tutta la vita.
Epatite cronica: La cronicizzazione dell’epatite B avviene in circa il 2-5% della popolazione adulta, dal 10 al 25% dei bambini e nell’80% dei neonati nati da madre HbSAg positiva. Lo spettro dei quadri clinici dei pazienti che non sieroconvertono è variabile, dallo stato di portatore cronico (HbSAg positivo, HBV DNA negativo) ad una forma di epatite cronica. Nei pazienti con epatite cronica il virus continua a replicare. La replicazione virale e la conseguente risposta immunitaria sono alla base del danno d’organo (necrosi delle cellule epatiche e fibrosi). Se la replicazione non viene controllata con una terapia adeguata, l’epatite cronica può evolvere in cirrosi (nel 15-20% dei casi entro 5 anni) ed in epatocarcinoma (nel 5-10%). L’evoluzione verso la cirrosi e verso l’epatocarcinoma è favorita dalla coinfezione con altri virus (HIV/HCV/HDV), dal consumo di alcolici o sostanze stupefacenti, dal sovrappeso, dal diabete mellito, dalla steatosi epatica e dal sovraccarico di ferro. Per la valutazione del grado di fibrosi la metodica più utilizzata in passato era la biopsia epatica. Essa permetteva una valutazione molto precisa del grado di necrosi e di fibrosi. Negli ultimi anni la biopsia epatica è stata sostituita da un’altra metodica meno invasiva (fibroscan). Il fibroscan è uno strumento in grado di misurare il grado di fibrosi del tessuto epatico. Esso non è gravato dalle complicanze della biopsia ed è in grado di valutare un’estensione di parenchima molto maggiore rispetto alla biopsia.
Terapia: quando e come trattare?
L'obiettivo della terapia dell'epatite cronica B è arrestare la progressione di malattia (verso la cirrosi, l'epatocarcinoma e la morte). Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso la persistente soppressione della replicazione virale, che si accompagna a una riduzione dell'attività necroinfiammatoria a livello del tessuto epatico.
Va comunque sottolineato che l'infezione cronica da HBV non può essere completamente eradicata, data la persistenza nel nucleo degli epatociti del DNA episomale, che può rendersi responsabile di riattivazione anche a distanza di tempo.
Non tutti i soggetticon epatite cronica B necessitano di terapia. L'indicazione alla terapia dipende da tre fattori: viremia plasmatica, transaminasi, severità della malattia epatica (fibrosi). La terapia è indicata per HBVDNA >2000 UI/ml, transaminasi > valori normali, fibrosi moderata (Metavir F3-F4).
Trattamento a lungo termine: prevede l’utilizzo di farmaci antivirali analoghi nucleotidici/nucleosidici (NA). Essi sono in grado di controllare la replicazione virale di HBV. Se sospesi si assiste ad un rebound virologico e alla possibile comparsa di un’ epatite acuta fulminante.
Sono farmaci maneggevoli, con pochi effetti collaterali. La principale problematica all’utilizzo di questi farmaci è la possibile comparsa di mutazioni che rendono HBV resistente ai farmaci stessi.
Analoghi nucleotidi/nucleosidici:
· Lamivudina (Zeffix): analogo nucleosidico. Ben tollerato. Se somministrato in monoterapia è associato frequentemente alla comparsa di resistenze. Attualmente poco utilizzato.
· Adefovir (Hepsera): analogo nucleotidico. Agisce sia su HBV wild type che su HBV resistente a lamivudina. Effetti Collaterali: cefalea, dolori addominali, nefrotossicità. E’ meno frequentemente associato all’emergere di resistenze. Attualmente poco utilizzato.
· Entecavir (Baraclude): analogo nucleosidico. Agisce sia su HBV wild type che nei confronti di HBV resistente alla lamivudina. Effetti Collaterali: cefalea, dolori addominali, diarrea. La comparsa di resistenza risulta maggiore nei pazienti con pregresso fallimento a lamivudina. Presenta cross resistenza con tenofovir. Indicato in prima linea.
· Telbivudina (Sebivo): analogo nucleosidico. EC: miopatia e neuropatia periferica. Minor rischio di resistenze rispetto a lamivudina. Attualmente non più utilizzato.
· Tenofovir (Viread): analogo nucleotidico. E’ richiesto un aggiustamento di dosaggio nei pazienti con insuffiecienza renale. EC: sindrome di Fanconi, nefrotossicità, osteomalacia e osteopenia/osteoporosi. Attivo su HBV wild type e HBV resistente a lamivudina. Cross resistenza con adefovir. E' attivo anche su HIV per cui viene spesso utilizzato nei pazienti con coinfezione HIV/HBV. Indicato in prima linea.
Trattamento a breve termine: prevede l’utilizzo di Peg IFN alfa2a per 48 settimane.
- Peg IFN alfa può essere utilizzato nei pazienti con epatite B cronica HbEAg positivi o negativi.
La terapia con Peg IFN alfa ha i vantaggi di essere una terapia a breve termine e di non causare resistenze agli analoghi nucleotidici/nucleosidici. Esso però ha una percentuale di risposta bassa ed è un trattamento con frequenti effetti collaterali (febbre, astenia, depressione, neutropenia, anemia, piastrinopenia).
- Nei pazienti HbE Ag positivi è possibile un trattamento a breve termine con NA qualora avvenisse la sieroconversione (comparsa degli anticorpi antiHbE) durante il trattamento. La terapia va continuata per 6-12 mesi dopo la sieroconversione ed il paziente deve essere sottoposto a controlli virologici stretti per il rischio di rebound virologico. Una risposta virologica sostenuta dopo sieroconversione ad antiHbEAg è possibile in circa il 40-80% dei pazienti.
Prevenzione: Esiste un vaccino ricombinante contenente l’ antigene di superficie di HBV (HbSAg) che prevede tre somministrazioni im. La sieroconversione si osserva in almeno il 95% dei casi nei soggetti immunocompetenti e ha una durata lunga, probabilmente per tutta la vita.
La legge n° 165/91 ha sancito l’obbligatorietà della vaccinazione contro l’epatite B per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita e, per i 12 anni successivi all’entrata in vigore della legge stessa, per tutti i bambini entro il compimento del 12° anno di età. Attualmente per l'immunizzazione dei nuovi nati viene utilizzato il vaccino esavalente che oltre a proteggere contro l’epatite B previene anche la difterite, la poliomielite, il tetano , la pertosse e le infezioni invasive da HIB.
Il vaccino è consigliato inoltre in alcune categorie a rischio di contagio:
- personale medico e paramedico, tecnici di laboratorio e tutti coloro che possano avere contatto diretto con pazienti infetti o con i loro fluidi corporei
- soggetti che abusano di droghe iniettabili
- emodializzati, emofilici e coloro che devono subìre regolarmente trasfusioni di sangue o di emoderivati
- soggetti che vivono a stretto contatto con portatori sani di epatite B
- individui che cambiano di frequentemente partern sessuali
- individui che viaggiano in aree geografiche in cui l'epatite B è una malattia endemica
- neonati da madri portatrici sane dell'antigene di superficie del virus dell'epatite B o da madri HBsAg-positive per infezione recente (entro 48 ore dalla nascita deve essere iniettata la prima dose di vaccino contemporaneamente a una singola dose di 200 unità di immunoglobulina dell'epatite B)Nei neonati da madre infetta (HBsAg positiva) si somministrano quattro dosi: alla nascita, al 1°, 2° e 11-12° mese di vita.
Vi sono alcune persone che non risultano protette contro il virus dell’epatite B dopo aver ricevuto le 3 dosi standard. Ciò accade più frequentemente se il vaccino viene somministrato dopo i 25 anni d’età e/o se vi sono alcuni fattori associati, come età, obesità, malattie croniche (immunodepressione) e fattori genetici (molecole HLA). Quando, dopo 3 dosi di vaccino, non si rileva nessuna risposta sierologica, è consigliabile verificare se la persona ha già un’infezione virale cronica. Una volta esclusa l’infezione cronica, se il paziente è ad alto rischio di esposizione, potrebbe essere utile somministrare dosi aggiuntive di vaccino. Il 40-70% degli individui che non rispondono alle 3 dosi di vaccino rispondono dopo altre 3 dosi (essi vengono definiti "responders" deboli). In pratica si raccomanda di somministrare 2 dosi supplementari a un mese di distanza l’una dall’altra, e di eseguire quindi un test sierologico. Se i risultati del test sono ancora negativi, si può somministrare una sesta e ultima dose, dopo aver fatto trascorrere altri 6 mesi. Se il soggetto non produce anticorpi dopo 6 dosi di vaccino, non trarrà alcun beneficio dalla protezione del vaccino, per cui è inutile effettuare ulteriori vaccinazioni. In caso di esposizione accidentale a sangue contaminato, è utile somministrare immunoglobuline ev. La protezione passiva dura solo poche settimane e deve perciò venire ripetuta dopo ogni esposizione.
fonte : www.insiemecontrolepatite.com/it