Io e il mio giovane compagno amiamo tenerci per mano quando camminiamo per le strade del centro di Milano. È un comportamento che mi riempie di gioia e di orgoglio, per la felicità e la libertà di manifestare in pubblico il sentimento che ci unisce e la nostra gioia di vivere. Per lui, molto giovane, è forse anche un modo per sfidare, con discrezione, il mondo spesso ostile che circonda le persone omosessuali. Questo gesto però suscita in me una certa dose di ansia. In altre parole: ho paura. È un timore controllato, trattenuto ma condizionante. Mentre io e il mio compagno camminiamo, mi guardo attorno, osservo la folla che, spesso ignara della mia ansia, ci passa accanto, ci viene incontro, ci segue. Cosa cerco nella folla che ci circonda, in tale circostanza? Cerco di individuare, e sperabilmente evitare, eventuali gruppi di teppisti, bulli omofobi, pronti a circondarci e aggredirci a parole e fisicamente; pronti ad ostacolare la nostra libertà e la nostra felicità. Perché lo farebbero? La risposta si trova nelle cronache degli ultimi anni, che ci raccontano di ripetuti episodi di violenza e odio a matrice omofobia in Italia. Tale violenza è sempre esistita, ma, a quanto pare, è in corso un incremento preoccupante del numero di aggressioni. Le ragioni dell’omofobia sono da rintracciare sicuramente nell’ ignoranza, nei pregiudizi, nella mancanza di rispetto e nell’ intolleranza nei confronti di una minoranza portatrice, secondo una certa mentalità, di disvalore. Naturalmente esistono ragioni storiche all’ origine di tutto ciò, su cui non posso dilungarmi qui per mancanza di spazio.
Ma l’ostilità che la comunità Lgbti deve affrontare in Italia si manifesta anche in altri modi, non necessariamente violenti, tuttavia atte a calpestare o almeno sottovalutare, in modo subdolo, i diritti delle minoranze. È il caso, ad esempio, di persone Lgbt sieropositive, trattate spesso in modo discriminatorio da medici e infermieri nelle cliniche dove queste persone sono in cura. Inoltre, tenendo presente che le dinamiche culturali e psicologiche dell’omofobia e del cosiddetto femminicidio sono, a mio avviso diverse, credo opportuno ricordare qui la violenza all’interno delle stesse famiglie o di una coppia; il numero, ad esempio, di donne che subiscono molestie tra le mura domestiche raggiunge il 15%, percentuale che si traduce nella prima causa di morte per quelle che hanno tra i sedici e i quarantaquattro anni. È recente anche il caso dei due genitori che hanno ucciso il loro figlio gay al momento del suo coming-out.
Sebbene le cronache ci parlino solo degli episodi più clamorosi e cruenti, resta che le denunce effettive sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più vasto e diffuso. La buona notizia è che finalmente il numero di denunce da parte delle vittime è in aumento, segno di una nuova consapevolezza, di un rinato orgoglio. Tale tendenza costituisce una sana reazione di difesa dei propri diritti, e deve essere incoraggiata, quando e dove ciò sia possibile.
Flavio
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